Milo Rau
1977, Berna – Svizzera
Regista, documentarista e studioso. Fondatore di International Institute of Political Murder attraverso cui produce spettacoli, film, video, installazioni e performance. Nel suo teatro il trattamento multimediale di conflitti storici e socio-politici si unisce ad un’ampia riflessione sulla funzione e sul significato del teatro stesso nel suo rapporto con la realtà.
podcast
Milo Rau.mp3
art field
danza
keywords
corpo
context
Romaeuropa Festival, Festival d'Automne
date
La Reprise, Histoire(s) du théâtre (I)
L’intervista è stata commissionata dalla Fondazione Romaeuropa per i programmi di sala del festival.
“La Reprise, Histoire(s) du théâtre (I)” porta in scena la vicenda di cronaca nera legata all'omicidio di Ihsane Jarfi, ucciso da un gruppo di giovani di fronte ad un bar a Liege (Belgio). Non è la prima volta che porti in scena un fatto di cronaca. Potremmo dire che tutto il tuo percorso artistico è caratterizzato da un forte legame con la cronaca e con quegli avvenimenti che hanno sconvolto o segnato la storia di una comunità. Il tuo teatro, allora, sembra assumere la forma di un tribunale in cui la realtà viene affrontata senza peli sulla lingua, senza fronzoli metaforici. Eppure, contemporaneamente, sono questi fatti a permetterti di riflettere sulla funzione stessa del teatro. Perché la storia di Ihsane Jarfi? Di che cosa ti ha permesso di parlare?
In un certo senso si è trattato di un caso. Alcuni degli attori con cui lavoro hanno seguito il processo e l’avvocato di uno degli assassini è una persona che conosco da molto tempo. Si tratta, come dici, di un fatto di cronaca, che è stato molto seguito in Belgio, ma non è certo un caso storico. Una tragedia che si gioca sul piano del quotidiano, sia dal punto di vista politico che umano, eppure una storia che sprigiona una forza universale. È anche la sua banalità, in un certo senso, ad avermi interessato; quella di una violenza che scaturisce dal nulla, che si manifesta quasi per caso, per la coincidenza di un incontro, senza premeditazione. Non si tratta di un vero e proprio atto criminale preterintenzionale, preparato o organizzato e d’altro canto è proprio in questo che io ritrovo la tragedia. Abbiamo incontrato la famiglia e gli amici di Ishane. Abbiamo lavorato anche con alcuni cittadini di Liege, ne abbiamo scelti due attraverso dei provini a cui si sono aggiunti quattro attori, tre con cui lavoro da tempo più un quarto, scelto attraverso un casting, che ha il ruolo di Ihsane.
“The Repetition” è anche il titolo di un saggio/novella, quasi autobiografico di Kierkegaard sulla relazione tra estetica ed etica. Cosa lega lo spettacolo a questo scritto?
Il titolo francese è “La Reprise”, poiché mentre la “répétition” è un atto tecnico, la “ripresa” è un atto esistenziale, che porta con sé un desiderio utopico di cambiamento. Lo spettacolo è la risposta teatrale alla questione della morte, si inserisce in una visione dell’arte come strumento di opposizione alla finitudine attraverso il dialogo con il passato. E’ su questo che riveniamo al pensiero di Kierkegaard, filosofo che ha cercato una sorta di trascendenza immanente ed esistenziale, qualcosa che si offrisse come risposta alla morte, non nell’aldilà ma nell’oggi. E lo ha trovato nell’arte, come noi in una modalità di fare teatro. Come superare la rappresentazione? E’ qualcosa che mi chiedo da tempo e non solo sul piano politico ma anche sul piano più semplice, emotivo. Come descrivere l’emotività di genitori che non possono più parlare con il proprio figlio? Come descriverne il lutto? “Ripresa” quindi anche nel senso di riprendere qualcosa per comprenderla meglio, per farne uscire qualcosa in più che la banalità del male.
credits………
Lo spettacolo vede in scena sei attori di cui due non professionisti (una dog-sitter e un magazziniere). Non è la prima volta che scegli di mettere insieme attori professionisti e non, lo abbiamo visto già con “Five easy pieces » con cui hai vinto l’Ubu l’anno scorso, dove protagonisti sono sette bambini. Cosa portano in scena attori non professionisti e come si confrontano alle tue produzioni?
Lavorare con attori non professionisti richiede molto tempo. Se metti in scena un testo classico con attori professionisti da regista puoi dormire con la testa sul tavolo e star tranquillo che tutto fila liscio. E’ molto meno faticoso ma allo stesso tempo questo non rappresenta ciò che secondo me è il teatro, il luogo in cui dove creazione nasce da una certa solidarietà che coinvolge anche il pubblico. Con i non professionisti è necessario un lavoro lungo e approfondito affinché acquisiscano la stoffa attoriale. Allo stesso tempo la loro presenza su scena aiuta la de-professionalizzazione dei professionisti, che è una cosa altrettanto positiva. L’effetto finale è emozionante, vedere uno dei più grandi attori del momento e una dog-sitter mettersi a nudo per recitare finaoc a fianco i genitori di Ishane, vi è qualcosa di molto bello e molto diretto nell’indiretto. Il lavoro é molto duro e forse un giorno smetterò ma per ora è un punto de Manifesto e quindi mi tocca continuare in questa direzione!
Al debutto dello spettacolo è corrisposta come dici la pubblicazione del “Ghent Manifesto”. Si tratta di alcune regole rigide che verranno applicate alle produzioni di NTGent sotto la tua direzione da ora in poi. “La Reprise” è già un esempio dell’applicazione di tali regole, pensate per quello che definisci un teatro democratico del reale. Di cosa si tratta?
credits………
Per lo più sono regole tecniche, la prima forse un po’ più filosofica, poiché recita: «non rappresentare il reale ma realizza qualcosa in scena, affinché lo spettacolo sia più che l’adattamento di un classico, un atto creativo». Oggi spesso si parla di creazione riguardo alla messa in scena di testi di Molière o di Houellebacq, mentre in questi casi, quando il testo è già scritto da altri, si tratta solo di un adattamento. Volevo tornare a un teatro d’autore. Il Manifesto vieta i classici per un ritorno alla creazione e questo è forse il punto più importante del manifesto. Il NTGent Manifesto analizza inoltre l’approccio al pubblico e all’istituzione teatrale. È necessario creare una dialettica tra il teatro di ricerca e quello di repertorio che mette in scena i classici. Volevo uscire dal vecchio dibattito ideologico che oppone queste due forme per cercarne una nuova che possa restaurare il teatro istituzionale. Attraverso le regole del Manifesto credo sia possibile.
Il rapporto tra rappresentazione e realtà è un tema da sempre discusso. Con “La Reprise” inauguri un progetto a lungo termine dal titolo (emblematico) “Histoire(s) du théàtre”. Di cosa si tratta? In che modo La Reprise ne è la prima tappa?
Di fronte al dolore e al lutto vi è sempre un problema legato alla rappresentazione e in particolare della rappresentazione della violenza, di un evento brutale come quello portato in scena con questo spettacolo. Il progetto prevede che ogni anno inviti un artista diverso, che sia protagonista di un capitolo successivo del progetto. Ognuno porterà la propria idea di teatro, talvolta anche molto diversa dalla mia, sebbene io resti il curatore del progetto nel suo insieme. Ho cercato la transmedialità e l’internazionalità, non volevo raccontare soltanto la storia del teatro europeo, né solo il teatro di parola. Ecco perché il prossimo ospite è Faustin Linyekula, coreografo congolese. Questo spettacolo rappresenta quindi il primo capitolo “Histoire(s) du théàtre” e porta in scena strumenti ed idee che ho sviluppato negli ultimi dieci anni della mia carriera. Il teatro dal mio punto di vista e forse anche una sorta di popolarizzazione del teatro stesso. Lo spettacolo coincide inoltre con la pubblicazione di un Manifesto.
credits………
Il tuo teatro spesso riesce a cambiare ed incidere politicamente sulla realtà. Il pubblico del Romaeuropa potrà vederlo anche nel film “The Congo Tribunal.” Un progetto differente ma che sembra legarsi perfettamente a “La Reprise”. Come nasce questo film e in che maniera si inserisce nella tua produzione artistica?
La mia pratica artistica è caratterizzata da due estremi, opposti ma congiunti. Da una parte una tendenza positiva, quasi attivista, quella di “The Congo Tribunal”, per il quale partendo dalla rappresentazione della realtà (la guerra civile in Congo), e dalla creazione di qualcosa, un tribunale abbiamo dato vita ad un effetto reale, come il licenziamento di due ministri. Il film racconta e documenta la storia di questo progetto. Poi ci sono gli spettacoli come quello che vedrete stasera, più pessimisti forse, nonostante alla fine vi sia una giustizia poetica, nati per approfondire la questione del Male. Da una parte quindi si va a fondo, dall’altra vi é il tentativo di cambiare qualcosa. Come diceva Gramsci “la depressione della ragione e l’ottimismo della volontà”.