Lola Arias

1976, Buenos Aires – Argentina

Scrittrice, regista, cineasta e performer Lola Arias cerca il superamento di quella frontiera che separa la realtà dalla sua rappresentazione, il discorso biografico dalla finzione artistica, la memoria personale da quella collettiva. Spesso l’artista costruisce i suoi lavori a partire dall’incontro umano tra persone apparentemente differenti tramutando il loro dialogo in strumento di indagine poetica su temi storici o d’attualità.

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Romaeuropa Festival

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Minefield

L’intervista è stata commissionata dalla Fondazione Romaeuropa per i programmi di sala del festival.

Con Minefield hai radunato 6 veterani della guerra delle Falklands, che nel 1982 ha visto l’allora dittatura Argentina combattere contro l’Inghilterra per il possesso dei territori delle isole Falklands appunto. Hai definito questo progetto e questo spettacolo un "progetto sociale": cosa intendi?

Come giustamente dici questo spettacolo porta in scena 3 veterani argentini e 3 veterani inglesi, non quindi attori ma persone che hanno fatto la guerra e che si incontra no per la prima volta per questo spettacolo. Ci sono voluti 2 anni per scegliere questi 6 performer, un tempo lungo durante il quale ho studiato, fatto ricerca e intervistato 70 veterani. Anche se è stata una guerra breve, durata due mesi, ha comunque causato circa 670 morti. E ad oggi il problema delle isole Falklands -che sono molto vicine alla Patagonia e quindi al nostro territorio- è un tema ancora molto scottante, soprattutto in Argentina, dove continuiamo a rivendicare il diritto alla sovranità su queste isole.

È stato e continua ad essere un esperimento sociale, che consiste non solo nel portare queste persone in scena insieme ma anche nel fare in modo che si ascoltino: cosa succede nel portare insieme in scena degli ex-nemici con l’obiettivo di ricostruire le loro memorie di guerra? Quali sembianze assume l’incontro? È possibile incontrarsi e tornare indietro con la memoria al tempo della guerra per cercare di ricostruire cosa è successo e perché è successo…? Cosa è sopravvissuto alla memoria fino ad oggi di questo passato?

Quanto tempo sono durate le prove?

Tutto è iniziato con le interviste a Buenos Aires e in Inghilterra, poi ho diretto due workshop -nei due paesi- con i performer selezionati. A seguire 3 mesi di prove in Argentina e infine uno a Londra, dove lo spettacolo ha debuttato. Da allora lo spettacolo è in tournée da due anni, abbiamo girato tutto il mondo, siamo già stati in 27 città.

textfoto Tristram Kenton

Come è accolto dal pubblico lo spettacolo?

Minefield ha un impatto molto forte sugli spettatori, anche su coloro che non sanno nulla della storia delle Folklands. Perché non racconta solo questa guerra specifica ma affronta il problema dell’effetto delle guerre sulle persone, del trauma della guerra, quali siano le conseguenze e come affrontarle.

Come hai lavorato con questo gruppo di veterani / attori?

Sono già 10 anni che mi occupo di teatro documentario, lavorando con attori così detti “non professionisti”, con persone vere e con le loro storie. Per me una volta sul palcoscenico sono attori a tutti gli effetti. All’inizio del lavoro ci sono lunghi momenti di discussioni, capaci di affrontare temi anche molto personali, poi si inizia a mettere insieme queste storie in un testo e si dai il via alle prove… È un processo lungo che porta questi non professionisti a conoscere e far proprie le pratiche attoriali. In questo caso la musica ha avuto un ruolo molto importante, poiché live. Abbiamo suonato insieme, il che ci ha permesso di comunicare senza l’uso del linguaggio parlato, poiché come è facile immaginare una ostacolo grande è stata la lingua. Nessuno parlava altro oltre alla propria lingua madre.

Vi sono stati momenti particolarmente emotivi o difficili durante le prove?

Momenti critici, molti alti e bassi. Riportare a galla la memoria è primariamente un processo emotivo, amplificato dal dispositivo che mette insieme le due parti del conflitto. Non sono mancati momenti di irritazione o tentativi di abbandono, ma anche reale connessione e comprensione. E questo lungo processo continua ed è alimentato ad ogni nuova replica, che li porta di nuovo a dividere il palcoscenico e il tempo del quotidiano, fatto di un vivere insieme. Questo stare insieme ha avuto un grande impatto sulla loro percezione dell’esperienza di guerra.

textfoto Tristram Kenton

In questo senso, Minefield svolge anche un ruolo di riconciliazione. Potrebbe essere questa una chiave di lettura del finale dello spettacolo, che il pubblico vedrà questa sera?

Non amo molto la parola “riconciliazione” perché porta sempre con sé un senso di perdono e oblio. Qui si tratta invece di riuscire a creare qualcosa insieme nonostante il disaccordo tra le due parti e in un certo senso il conflitto ancora aperto. Non per radicalizzare la tensione ma per essere in grado di lavorare con questa tensione.

La Storia, che è quasi sempre raccontata dagli uomini. Credi che noi in quanto donne possiamo offrire uno sguardo differente sul nostro passato e sulle nostre identità nazionali?

Si, assolutamente. In molti sono rimasti sorpresi dal fatto che una regista donna avesse deciso di produrre uno spettacolo sulla guerra, perché la guerra sembra essere un tema da uomini. E in effetti ciò che mi ha mossa è il desiderio di costruire un’altra narrativa della guerra, che non riguardasse le battaglie, le tattiche, gli eroi, ma piuttosto la memoria, le tracce, i fantasmi che non ci abbandonano, le debolezze piuttosto che la forza. L’umanità insomma, che è anche un tema di guerra. Questo essere in grado di uccidere e morire per il proprio paese rappresenta il limite dell’essere uomo e tanti uomini vi sono stati confrontati. Affrontare questi temi é stata una vera prova per me, in quanto artista e donna, altrettanto lo è stato lavorare con uomini, specialmente gli inglesi, abituati a dare ordini ad altri uomini. Per loro accettare l’autorità di una donna, per di più argentina, è stato molto difficile.

textfoto Tristram Kenton

La tua attività artistica non si esaurisce solo nel teatro. Anche questo lavoro sulla guerra delle Falklands ha visto altri sbocchi: un’installazione, un film in particolare…

Si un film, “Theater War”, che è stato presentato alla Berlinale, e presentato già in molti festival in tutto il mondo. Sono gli stessi attori dello spettacolo ma non si tratta di un film backstage testimonianza del processo di creazione, piuttosto affronta la stessa storia ma con un’angolatura diversa. C’è stata un’installazione video e anche un libro bilingue. Insomma un progetto che ha preso forme diverse e ha riempito ben 5 anni della mia vita.

Regista teatrale, artista visiva e cinematografica, cosa senti che lega tutte questi linguaggi nella tua poetica e pratica?

Ho iniziato la mia pratia artistica con la scrittura. Sono sempre stata una scrittrice. Poi ho iniziato a recitare. Passando alla regia ho introdotto il video in scena e così ho iniziato ad interessarmi alle arti visive. Ma si tratta dello sviluppo di una stessa pratica che assume forme diverse: storytelling, il desiderio di narrare storie altrui, biografie spesso, ridargli vita, fare re-enactment del passato. È questo il centro del mio lavoro.

textfoto Tristram Kenton

Sei nata in Argentina durante la dittatura, hai vissuto la guerra, anche se con distacco, poiché eri bambina. Da qui, da lontano, vediamo l’Argentina cambiare molto in questi ultimi anni. Ru cosa puoi dirci? Cosa caratterizza il vostro presente?

Una grande domanda! Sono nata sotto l’influenza della dittatura, tutto intorno un senso di timore, di limitazione della libertà di espressione, di segreti, di violenza. Un’esperienza che, per le persone della mia generazione –io avevo sei anni quando la dittatura è crollata-, resta impressa nel subconscio, se non nella memoria razionale. “My life after” è il mio spettacolo che affronta questi temi, i resti della dittatura, ciò che è rimasto nelle nostre vite. Penso che la società abbia bisogno di questi momenti di memoria collettiva per guardare al presente. Quando Macri ha preso il potere si è instaurata una politica volta all’amnesia collettiva. Personaggi della dittatura sono stati tolti dalle prigioni e messi ai domiciliare, il numero delle persone uccise dalla dittatura è stato rivisitato al ribasso. Questo processo di cancellazione della storia è stato accompagnato da una linea politica estremamente neo-liberale, che ha posto le basi per lo stato di insicurezza economica e povertà in cui viviamo. É un periodo di forte inflazione e problemi economici, salari sempre più bassi, riduzione delle pensioni, mancanza di supporti statali, la cultura sempre meno finanziata… insomma una forte regressione. In questo momento, la sola nota positiva è il progressivo rafforzarsi del movimento femminista. Stiamo combattendo per la legge sull’aborto, che è stata discussa al Parlamento e ora lo sarà al Senato. L’Argentina è un paese molto cattolico in cui ancora si crede che l’aborto sia un’azione contro la vita. Noi siamo a favore della vita, di tutte quelle donne che muoiono a causa di aborti illegali in condizioni terribili. Vedere tutte queste donne insieme, unite da una battaglia comune, inspira in me una grande fiducia.