Christos Papadopoulos
1976, Atene - Grecia
Coreografo. Fondatore della compagnia Leon and the Wolf, all'inizio della sua carriera ha collaborato con il coreografo Dimitris Papaioannou. Da quest'ultimo si distingue poi notevolmente per stile. La usa è una scena occupata completamente e unicamente dai corpi dei danzatori, che con movenze ritmate si accordano ai ritmi della musica, spesso protagonista importante.
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art field
danza
keywords
letteratura, paesaggio, ritmo
context
Romaeuropa Festival
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Elvedon
L’intervista è stata commissionata dalla Fondazione Romaeuropa per i programmi di sala del festival.
Elvedon è il nome del villaggio nascosto in cui si imbattono, nella prima parte del romanzo, i protagonisti de Le Onde di Virgina Woolf. A partire da questo testo, caposaldo della sperimentazione e della ricerca in ambito letterario, Papadopoulos costruisce una riflessione sul concetto di “tempo” traslando la forza della parola scritta, nella pura energia del movimento.
Cosa del romanzo di Virgina Woolf si ritrova in Elvedon?
Le Onde segue la vita di sei personaggi dall’infanzia alla morte, evidenziandone le relazioni umane, il rapporto con l’ambiente intorno a sé e il paesaggio naturale. La vita di queste sei persone è normale e ordinaria, non ha nulla di speciale da mostrare. È soprattutto un libro senza alcun paragrafo, un unico flusso di coscienza, a suggerirci che la vita umana, che inizia con il primo respiro e finisce con la morte, è un continuum senza pause, non ci si ferma mai, nemmeno quando si dorme. Come creare una performance che metta al centro quest’idea di flusso continuo?
foto Patroklos Skafidas
Qual è stato il processo di creazione a partire dal romanzo?
Nel processo di creazione mi pongo sempre dei limiti, delle regole attraverso cui costruisco il materiale coreografico. In questo caso la regola è stata: non fermarsi mai! Ho creato una coreografia senza pause il cui ritmo è quello del cuore, l’unico organo del corpo il cui movimento è costante ed indipendente dal pensiero cosciente. Questo ritmo rimbalzante è una costante che lascia grandi margini d’azione, permette ai danzatori di interagire fra loro e con lo spazio. Ho cercato di creare un’atmosfera ipnotica, come quando guardi le onde del mare.
La composizione coreografica è effettivamente ipnotica, fortemente geometrica; quasi a voler condurre lo spettatore ad una sorta di “estasi”. In che modo intendi coinvolgere il pubblico?
Vorrei portare gli spettatori a vivere un’esperienza simile a quella in cui ci si ritrova guardando le onde del mare. Immergerli in una dimensione di rilassatezza, meditazione e accelerazione del pensiero che permetta loro di abbandonarsi all’immaginazione. Non vi è nulla da “capire” in quanto non c’è narrazione, ma lo spettatore ha un ruolo attivo e creativo.