Beatrice Masini

1962, Milano - Italia

Giornalista, traduttrice e prolifica scrittrice di libri per l'infanzia. Le sue opere sono tradotte in una ventina di paesi e lei stessa è stata traduttrice per alcuni dei libri della saga d Harry Potter.

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letteratura

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danza moderna, infanzia

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Quello che ci muove

“Quello che ci muove” (2017) è il nuovo libro sulla storia personale e professionale di Pina Bausch, coreografa che ha segnato il ‘900 e su cui tanto è stato scritto.Se ci soffermiamo sul progetto è perché si distingue per originalità e cura. Edito da rueBallu, casa editrice palermitana, il libro fa parte della sezione “jeunessepiù” (premio Anderson come miglior progetto editoriale 2016) e si rivolge quindi a un pubblico di giovani e adulti desiderosi di re-incontrare questa “pioniera, scienziata, ricercatrice dei territori non mappati dell’animo umano” (Wim Wenders) affidandosi ad uno sguardo ingenuo. Nel testo, l’autrice Beatrice Masini coniuga un linguaggio narrativo ad un contenuto biografico, con affondi critici nell’analisi degli spettacoli. La narrazione è intercalata dai disegni di Pia Valentinis, che reinterpretano i momenti salienti della storia di Pina Bausch. 78 pagine di piacevole lettura che ci guidano con leggerezza tra le storie di vita della donna Pina e quelle raccontate dai suoi spettacoli, creando connessioni e metafore universali : “Un ippopotamo e una danzatrice innamorata (…) lei lo adora, lo stringe, lo cerca. Un ippopotamo è un amore ingombrante. O forse è l’amore ad essere ingombrante come un ippopotamo”.Di seguito riportiamo una discussione con Beatrici Masini con incursione di Pia Valentinis.

textIllustrazione di Pia Valentinis

Quello che ci muove racconta la storia personale e professionale di Pina Bausch, dall’infanzia all’età adulta e lo fa utilizzando il linguaggio della narrativa, che a tratti si mescola a quello dell’analisi critica. Edito dalla casa editrice palermitana rueBallu, collana Jeunesse, a chi si rivolge il libro? Cosa la “ha mossa” verso questa grande storia, quello di una dei pilastri della danza contemporanea mondiale, ma anche la storia di una grande donna?

RueBallu è un editore di progetto con cui c’è un dialogo aperto. Ci siamo incontrati su Pina come in passato su Emily Dickinson, con grande naturalezza. Il libro vuole parlare a chi non ha mai incrociato Pina Bausch, e dunque ha un piglio molto informativo, ma anche a chi la vuole ritrovare. Non facile sposare le due cose, e in più raccontare il movimento. La sola via per me era quella di un’estrema sobrietà.

Il libro contiene tante domande, alcune di Pina, altre sue. Questa tecnica narrativa ricorda l’atteggiamento curioso del bambino. Oltre che il procedimento creativo di Pina Bausch, che interrogava i suoi danzatori, spronandoli a far emergere i propri nodi sentimentali, l’uomo dietro il danzatore. E d’altra parte Pina Bausch, come lei ricorda nel suo libro, ha sempre conservato un animo bambino sotto la donna matura che era.Addirittura, leggendo il suo libro, viene da chiedersi se quei tavoli e sedie tanto noti di Café Muller, non siano un ricordo di infanzia, di quando Pina da bambina si nascondeva sotto i tavoli del ristorante dei genitori in cui passava ore e ore, osservando gli avventori e iniziando a coltivare il suo interesse verso l’umanità in tutta la sua diversità…Cosa l’attira in Pina Bausch?Quanto sono state importanti le domande nella sua formazione? E quanto le risposte?

Mi attira la limpidezza del percorso di Pina, la decisione del cercare senza preconcetti, per domande, appunto. La capacità di invenzione e l'autonomia del percorso a cui ha tenuto fede anche quando a crederci era solo lei. Poi il lavoro con gli altri, quel saper cercare e trovare il meglio in ciascun danzatore, nelle sue unicità. Meglio sempre le domande, s’intende. Le risposte durano un istante ed è subito ora di superarle, di andare oltre. Nella scrittura ogni nuova strada è una domanda posta a se stessi. E scrivendo per ragazzi non ha senso indugiare troppo sulle risposte: è un pubblico che cambia di continuo e ti invita a cambiare con lui.

Mi pare vi sia una nuova tendenza “engagé” nella letteratura per ragazzi. Penso a Storie della Buonanotte per bambine ribelli, 100 storie di donne straordinarie, scritte da Francesca Cavallo e Elena Favilli, che sta avendo un enorme successo internazionale. Nobili pregressi nei libri di Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia e L’islam spiegato ai nostri figli. Cosa ne pensa? Il suo libro si iscrive in questo “filone”?

Penso che la divulgazione buona, non didascalica ma condotta con serietà ed esigenza di chiarezza, debba sempre avere il suo spazio dedicato negli scaffali dei ragazzi. Magari cambiano i modi e gli stili, ma non bisogna avere paura di spiegare, di insegnare, di suggerire. È quello che ci chiedono i bambini, sempre. Mi infastidisce invece la pretestuosità del falso impegno quando s’infila in un filone, appunto. La pieghevolezza a ciò che sembra di tendenza, che produce fenomeni imitativi di scarso valore.

textIllustrazioni di Pia Valentinis

In un accampamento di zingari in Grecia Pina Bausch incontra una bambina che le dice: “Balliamo, balliamo, altrimenti siamo perduti”. In pochi conoscevano il retroscena di questa frase che è diventato lo slogan per eccellenza della poetica della Bausch. E trattandosi di un libro di narrativa potrebbe essere una sua invenzione. In che modo si incrociano realtà e finzione nel libro? Quali sono state le fonti? Ce ne svela alcune?

Le frasi di Pina sono tutte vere, pescate in interviste. Ho guardato ossessivamente tutti gli spezzoni di spettacoli che sono riuscita a trovare, e non so quante volte il film di Wenders. Non credo si possa inventare in una biografia. Semmai si può dedurre.

Il libro è accompagnato dalle bellissime illustrazioni di Pia Valentinis, come è nata la collaborazione e come è stata portata avanti? A cosa si è ispirata Pia?

Pia è la compagna perfetta: ciascuna lavora da sé, e lei è capace di raccontare altro per immagini, senza mai limitarsi a riproporre il senso del testo.

Pia Valentinis: Sono stata contattata dalla casa editrice rueBallu e ho accettato la sfida: sapevo che non sarebbe stato semplice. Prima ho letto il testo, molto intenso, che offre parecchi spunti visivi e mi sono documentata attraverso scritti, video e foto, tra cui il film con la regia di Pina Baush, "Il lamento dell'imperatrice", da cui ho derivato il tono delle immagini. Ho scelto di usare un segno essenziale, messo a nudo da pochi colori. L'illustrazione di copertina è il risultato di una lunga chiacchierata al telefono con Antonella Bonanno di rueBallu, durante il lavoro. Parlavamo di Pina, sigarette e paesaggi, mi pare.

“Non mi interessa come si muovono le persone, ma cosa le muove”. Il suo libro finisce cosi. E lei sembra identificarsi nella protagonista. La danza andrebbe insegnata nelle scuole secondo lei? In orario curriculare intendo.

Certo. Io ho studiato balletto per otto anni, e sono tra le ore meglio spese della mia infanzia e adolescenza. Scoprire limiti e facoltà del corpo nello spazio, il legame con la musica, la fatica ricompensata: tutto prezioso per conoscersi meglio. Anche senza volerne fare un mestiere.