Wen Hui
1960, Yunnan, Cina
Dopo aver studiato la danza tradizionale cinese vola a New York per seguire gli insegnamenti di José Limón, Erick Hawkins e Trisha Brown, per poi formarsi in seno alla compagnia di Pina Bausch. Nel 1994, con il documentarista Wu Wenguang, fonda il Living Dance Studio, la prima compagnia indipendente cinese. Tra danza, teatro e video, gli spettacoli della compagnia esplorano la realtà del mondo contemporaneo ed il suo rapporto con il passato. La relazione con gli archivi, il corpo come luogo di memoria, la storia come frutto di una costante opera di riscrittura, sono tematiche fondamentali nel lavoro della coreografa.
art field
danza
keywords
storia, comunismo, archivio, memoria, corpo, tradizione, femminile
context
date
Red
L’intervista è stata commissionata dalla Fondazione Romaeuropa per i programmi di sala del festival.
The red women detachment*, la fonte di ispirazione di Red, è il balletto canonico dell’estetica comunista cinese, che dal 1964 ad oggi è il simbolo della Rivoluzione Culturale cinese. Il balletto mescolava i principi della danza classica occidentale alle danze popolari cinesi. Perché hai scelto di analizzare questo modello? Cosa rappresenta oggi? Come è cambiata la sua lettura nel tempo, da parte delle diverse generazioni (di cui abbiamo testimonianza su scena attraverso i danzatori, di età diverse)?
Tante domane, ma mi piacciono! Ho visto uno spettacolo che si intitolava “ Danza-teatro contemporaneo su Red Women Detachment”, prodotto fuori dalla Cina. Ero molto stupefatta perché per me questo balletto rappresentava il passato, la storia, qualcosa che non aveva nessun collegamento con l’epoca contemporanea e quindi con le sue forme d’arte. Ho iniziato ad interessarmi alla storia del balletto in modo più approfondito, nonostante naturalmente la mia generazione lo conosca bene. Ero confusa. In che modo dovevo relazionarmi a questo pezzo? Nel 2013 ho iniziato a intervistare tutti i ballerini originali di The red women detachment, e anche il pubblico che aveva visto lo spettacolo all’epoca della Rivoluzione Culturale. Volevo capire come fosse cambiato l’approccio ideologico nel tempo. Sono più di dieci anni che il mio lavoro affronta la relazione tra la memoria del corpo, la storia e i cambiamenti sociali. Il corpo è un museo vivo, l’archivio del tempo. La vita, la storia lasciano segni indelebili nel corpo. Quindi le domande vertevano sul corpo, sul balletto, ma anche sulla vita degli intervistati, che fossero danzatori o spettatori.
Foto Laurent Phillipe
Nello spettacolo è in scena una delle danzatrici originali del balletto, che ora ha 62 anni. Nel suo corpo è visibile questa nozione di storia e archivio, quasi fosse un museo. Io ho 5 anni in meno di lei ma naturalmente questo prodotto della Rivoluzione mi riguarda personalmente, è iscritto nel mio corpo e nella mia storia, in quanto appartenete ad una determinata generazione, quella che studiava durante la Rivoluzione Culturale. Sebbene non abbia avuto l’opportunità di danzare questo pezzo, questo allora rappresentava il mio ideale. Dopo gli anni ’80, quando la Cina inizia ad aprirsi alle influenze esterne il mio giudizio sul balletto vacilla e comincio a vederne il lato propagandistico. Eppure nonostante ciò, nonostante sappia che si tratta di propaganda politica, il mio corpo alle prima note del balletto il mio corpo prova un’eccitazione che non riesco a controllare e una battaglia interiore mi anima.
Un’altra generazione in scena è rappresentata della danzatrice di 29 anni. La prima volta che ha visto il balletto lo ha ritenuto poco interessante, al limite della stupidità e di certo senza alcun legame con la sua vita. Alla fine però ha trovato un punto di contatto, a livello fisico non mentale: l’educazione del corpo di un danzatore non è cambiata da allora. Un’altra performer di 29 anni, che non è stata formata come danzatrice e la cui storia privata è più turbolenta -ha abbandonato gli studi scolastici a 11 anni per lavorare nei campi ed é venuta in città qualche anno dopo per trovare lavoro, era inizialmente la cuoca della compagnia-, quando le abbiamo chiesto di trovare un elemento di relazione con The red woman detachment ha scelto un coltello. Visibile nel balletto, era lo stesso che suo papà, morto quando lei era piccola, avevo costruito e che sua madre teneva sotto il cuscino quando dormivano in caso di aggressione, per proteggere se stessa le sue figlie. Siamo rimaste molto turbate nell’immaginare che le donne possano correre ancora simili rischi simili nella Cina contemporanea.
Foto Richy Wong
Quanto hai detto finora lascia dedurre che la memoria è un tema predominante nelle vostre produzioni, quando parli di “corpo come archivio di storie e memorie” e dici, ti cito: “we use the embodied and situated practices to reenact the past“. Il tema della memoria investe questa come le precedenti produzioni. Da cosa deriva quest’attenzione? E quale relazione si crea tra memoria e presente in questo lavoro e nella tua pratica in generale?
Data la mia età io rappresento il ponte tra il passato e il presente. So cosa è accaduto e cosa è stata la Rivoluzione Culturale, mentre le giovani generazioni non lo sanno, poiché nei libri di storia questa storia non è scritta. Sento quindi questa responsabilità di tramandare alle giovani generazioni una conoscenza, una storia che non è scritta e che è ancora parte delle nostre memorie vive. In che modo il presente, l’attuale situazione sociale in Cina è legata al suo passato? Credo che sia molto importante che le giovani generazioni conoscano la storia. Oggi questo balletto è performato in Corea, e mi pare abbastanza chiaro il fatto che si tratti ancora una volta di arte utilizzata per fare propaganda politica.
La scena di RED è occupata da sole donne. E il tema del balletto di riferimento, ma la questione femminile è qualcosa che tenete a cuore?
Certo, già il balletto originale affronta diversi temi tra cui quello della quesitone femminile. Credo che questo sia uno dei lati positivi del balletto originale. In Cina questa lotta continua ancora oggi. Qui non è come in Europa o in America, qui il pensiero tradizionale che vuole la donna subalterna all’uomo vige ancora presso una buona parte della popolazione. Le lotte femministe sono clandestine e portate avanti da piccoli gruppi, non riempiono le pagine di cronaca dei giornali come in altri paesi del mondo. Un altro tema interessante proposto dal balletto stesso é quello delle differenze tra classi sociali, molto sentito ancora oggi che viviamo un “gap” sociale importante tra ricchi e poveri.
Foto Richy Wong
Questa attenzione ai temi del presente è manifesta anche negli strumenti e nei linguaggi che usi per i tuoi spettacoli. In che modo documentario e linguaggio coreografico si incontrano nel tuo lavoro? Che ruolo assumono il corpo e la scrittura scenica e drammaturgica?
Ci chiediamo sempre, ogni giorno, perché continuiamo a danzare, dopo 25 anni di lavoro per il teatro. La risposta che mi do è che il mio è un tentativo di produrre qualcosa che contribuisca all’avanzamento sociale. Per questo ci interessiamo alla storia, alla memoria e alle problematiche sociali del presente. Per questo scopo il processo diventa ancora più importante che il prodotto finale. Iniziamo sempre con delle interviste, le domande sono importanti. Le storie personali sono importanti perché fanno la Storia con la “s” maiuscola. La nostra pratica è una forma di resistenza all’oblio. L’importanza dell’esperienza del singolo in RED è visibile anche sul piano coreografico, poiché ad ogni danzatore abbiamo chiesto di re-interpretare il balletto a suo modo.
E quali sono le tue fonti di ispirazione?
Sono molte, ma soprattutto la realtà, il presente e la memoria.
Hai creato la tua compagnia nel 1994, da allora ad oggi tante cose sono cambiate in Cina. Cosa vuol dire oggi svolgere un lavoro artistico, performativo in particolare, in Cina?
Credo che la vita non sia difficile oggi in Cina, non è come negli anni ’70-’80, quando c’era una gran povertà. Perché facciamo arte? Ancora una volta: si tratta di una forma di resistenza all’oblio.