Noé Soulier
1987, Parigi - Francia
Enfant prodige della giovane danza francese, Noé Soulier (1987) si forma presso la scuola di Anne Teresa de Keersmaeker P.A.R.T.S dopo un lungo periodo di studio della danza classica. A questo percorso pratico si affianca la sua ricerca nel campo della filosofia coltivata presso l’università Paris-Sorbonne. L’artista interroga il modo in cui il movimento è interpretato e percepito attraverso un approccio pratico e teorico, interrogando la tradizione classica e contemporanea per produrre spettacoli, performance, installazioni e testi concepiti sempre nel segno della scrittura coreografica.
art field
danza
keywords
corpo, spazio, parola
context
Romaeuropa Festival
date
Removing
L’intervista è stata commissionata dalla Fondazione Romaeuropa per i programmi di sala del festival.
Come teoria e pratica si integrano nei tuoi spettacoli?
Il mio percorso presso P.A.R.T.S. mi ha permesso di avere un approccio pratico a gran parte del repertorio della danza contemporanea: da William Forsythe a Trisha Brown, dalla stessa de Keersmaeker a Wim Vandekeybus. Avendo già studiato la danza classica e in parte anche la danza moderna, questa scuola mi ha permesso di acquisire una conoscenza pratica e abbastanza completa della danza occidentale. Il nostro patrimonio coreografico è molto importante: ciò che cerco di fare attraverso le mie performance, i miei spettacoli e alcuni miei testi teorici è capire come instaurare un rapporto attivo con questa eredità. Data la mia età anagrafica sono erede di una generazione di danzatori prevalentemente concettuali (penso ad artisti come Xavier Leroy, Jérôme Bel o Tino Seghal). Anche per questo ho deciso di approfondire lo studio del pensiero filosofico. Non volevo essere impressionato né tanto meno annientato dalla teoria, volevo al contrario padroneggiare il pensiero, avere un campo di riferimenti teorici meno esplorato, fare in modo che la teoria non servisse solo da giustificazione posticcia per alcune scelte coreografiche, ma fosse parte integrante delle mie pièces.
Cerco sempre di mantenere una certa autonomia tra teoria e pratica per far sì che la pratica non sia una semplice illustrazione della teoria, o al contrario, che la teoria serva da esplicazione della pratica. In questo momento, ad esempio, sto lavorando contemporaneamente ad uno spettacolo (Faits et gestes ndr), e ad un libro, che sarà pubblicato dalle edizioni del CND. Il libro è un’opera coreografica che prende la forma di un testo. Nello spazio del testo analizzo le forme di movimento che appartengono alle diverse pratiche coreografiche, sia classiche moderne che contemporanee. Sebbene sia lavoro concettuale –puro testo, privo di immagini e disegni- questo lavoro non tende alla smaterializzazione, bensì vuole restituire una corporeità al pensiero, in modo che vi sia poi un ritorno alla pratica.
foto Chiara Valle Vallomini
Quali sono i riferimenti nel libro, tuoi spettacoli o riferimenti storici? Che tipo di approccio teorico utilizzi?
Non parlo mai della mia pratica in questo libro, ma sempre di quella degli altri: dalla danza classica, di Cunningham, Trisha Brown, Forsythe, Yvonne Rainer … spesso osservo i loro movimenti attraverso strutture geometriche, in altri casi mi pongo delle questioni di ordine filosofico, in altri ancora ho un approccio storiografico, la teoria nella danza è molto meno sviluppata rispetto alle arti visive e alla musica.
Ci saranno dei disegni, dei grafici, delle partiture?
No, è veramente pura scrittura, l’idea è di non utilizzare nessuna immagine, né disegno, nulla. Tutto si produce solo nel pensiero. E’ molto vicino a ciò che facevo in Mouvements sur mouvements, nello stesso momento in cui facevo dei movimenti li spiegavo cercando di mettere in luce modalità diverse di analisi di uno stesso movimento. Trattandosi in questo caso di un libro ogni movimento potrà essere analizzato in modo pià dettagliato.
foto Chiara Valle Vallomini
Removing mette in scena dei movimenti interrotti ma nel farlo offre allo spettatore un’idea di armonia e bellezza. C’è un rapporto con il classico nel tuo lavoro?
Il mio primo approccio alla danza avviene attraverso gli studi classici al Conservatoire National Supérieur de Paris e poi all'École Nationale de Ballet du Canada. La danza classica resta per me un riferimento molto importante, qualcosa cui faccio continuamente riferimento, soprattutto nella disposizione dei movimenti nello spazio. Quando si tenta di offrire attraverso la scena dei discorsi complessi è necessario renderli leggibili e fruibili per lo spettatore. Per Removing ho scelto un approccio “classico” nel modo di proporre il discorso coreografico. Ad esempio, esistono molte strategie per orientare lo sguardo, che appartengono alla danza da secoli e che utilizzo all’interno dello spettacolo: sequenze di movimento all’unisono, ripetizioni ed un’omogeneità nel modo in cui i danzatori compiono i loro movimenti. La danza classica ingloba nel suo orizzonte di riferimento non solo delle modalità di movimento ma anche dei riferimenti culturali forti: le regole di galateo, il giardino alla francese o all’italiana, l’architettura del Rinascimento, la prospettiva, le linee dritte, la geometria ortogonale utilizzata per studiare lo spazio… La danza classica è un riferimento molto importante, sebbene non tenti di riprodurne gli stilemi la tengo sempre a mente.
foto Chiara Valle Vallomini
Sei partito da gesti del quotidiano per privarli della loro finalità. Come hai composto lo spettacolo?
Ho lavorato su quei movimenti che nella realtà hanno uno scopo pratico. Volevo che l’intenzione che dà origine al movimento fosse molto chiara per il danzatore che lo compie, ma, allo stesso tempo, che non fosse riconoscibile da parte dello spettatore. Infatti, se lo spettatore riconosce lo scopo di un’azione sarà portato a concentrarsi sull’aspetto narrativo del gesto o sulle sue motivazioni e non invece sulla qualità del movimento. Nella prima parte della coreografia lavoriamo su tre azioni: picchiare, evitare e lanciare. Per sfuggire l’effetto “mimo” ci concentriamo su modalità innaturali di praticare i gesti: acchiappare oggetti immaginari, lanciare una parte del corpo come se potessimo distaccarcene, picchiare con parti del corpo di solito non utilizzate per quest’azione. Poiché tutti i movimenti scelti hanno in origine degli scopi pratici entrano immediatamente in gioco le emozioni, e questa, per me, è una grande ricchezza. Nella seconda parte dello spettacolo riproduciamo le modalità di azione del ju-jitsu, un’arte marziale che si sviluppa attraverso prese e leve, ma eliminandone gli aspetti agonistici. Dal corpo a corpo tra i danzatori scaturisce una dimensione erotica e carnale molto forte agli occhi di chi guarda ma completamente assente nell’esperienza di chi abita i movimenti.
Trovo molto emozionante quando una coreografia riesce a far emergere delle sensazioni intime senza rappresentarle o metterle in scena esplicitamente. Sono interessato al rapporto tra ciò che si può mostrare sulla scena e le sensazioni che si possono suscitare indirettamente nel pubblico.