Santasangre

2001, Roma - Italia

Collettivo di ricerca artistica formato da Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano, Pasquale Tricoci, Dario Salvagnini e Roberta Zanardo e attivo fino al 2014. Iniziano mettendo insieme la formazione di ognuno: la body art, il linguaggio video, le installazioni meccaniche e sonore, spostando poi il loro lavoro all’interno dello spazio teatrale. La scena diventa luogo di contaminazione e di sperimentazione attraverso il linguaggio coreografico, le tecnologie video e le installazioni sceniche. Corpo, luce, video, suono si mescolano per indagare questioni spesso legate al rapporto tra arte e scienza dove la meraviglia ha un ruolo predominante.

art field

teatro, performance, danza

keywords

tecnologia, multidisciplinarietà, ibridazione

context

Istantanee festival

date

Simultaneità. Integrazione. Precarietà.

Ne avevamo parlato con Maria Paola Zedda inaugurando l’attività dell’osservatorio critico Sguardi Istantanei. Stimolati dalle possibilità di analisi e riflessione poste dal delicato argomento, decidiamo di passare la palla al collettivo romano Santasangre. Dopo l'ibridazione dei linguaggi, cosa c'è?

Ibridazione e contaminazione delle arti: Maria Paola Zedda nell’intervista realizzata da Sguardi Istantanei riflette su quanto tali concetti siano obsoleti nella contemporaneità. Cosa ne pensate?

Se in tutta la scena degli anni Ottanta e Novanta ibridazione e contaminazione dei linguaggi erano concetti proposti come segni di rottura, oggi sono dati per assunto. In fondo noi trentenni siamo cresciuti con il computer, con internet e con le più svariate tecnologie, dunque il concetto di ibridazione ci è consustanziale; l’abbiamo acquisito come eredità. Oggi piuttosto dovremmo riflettere su quanto e come portiamo in scena altri tre differenti problematiche, sostitutive eppure affini alla contaminazione dei linguaggi: integrazione, simultaneità e precarietà. Credo siano questi i concetti dinanzi ai quali ci pone il nostro contemporaneo. Quanta simultaneità, integrazione e precarietà c’è nel nostro lavoro? Quando con Bestiale improvviso - Sovrapposizione di Stato scegliamo di riprovare a costruire il nostro spettacolo mettendo in crisi la sua finitezza e andando a ripescare tutto il materiale e le scelte fatte durante la sua costruzione, non stiamo forse mettendo in scena il precario? E questo perché noi siamo una delle prime generazione che ufficialmente vive il precariato come una condizione, uno status. Lo stesso vale per il concetto di integrazione: noi non lavoriamo nel sociale ma tale problematica ci appartiene per forza (necessariamente). L’utilizzo della tecnologia in scena non è un segno che contesta un altro segno ma un linguaggio integrato, qualcosa che ci appartiene definitivamente. E’ la simultaneità? E’ il nostro quotidiano! Come le tecnologie ci hanno permesso di fare una cosa mentre ne facciamo tante altre così siamo abituati ad una simultaneità dei linguaggi e al loro essere costantemente in equilibrio senza prevaricarsi. Queste tre parole per me definiscono tre concetti fondamentali, trasversali e democratici del contemporaneo; concetti che appartengono all’intera società.

Dario: L’ibridazione per noi non è innovazione! Ma un dato di fatto, un assunto. Per noi è importante andare a minare il tipo di rapporto che l’ibridazione dei linguaggi comporta, cercare simultaneità per creare un grado massimo di coinvolgimento. L’esito è naturalmente diverso da quello di qualche decennio fa, perché è diversa l’esigenza di partenza. Ed in questa partenza per noi la contaminazione e l’incrocio di differenti linguaggi sono un assunto spontaneo e inconscio.

Probabilmente inizialmente l’ibridazione delle differenti arti serviva a riflettere sullo stesso linguaggio (sul linguaggio stesso) delle arti performative al fine di distruggerlo, destrutturarlo. Oggi, piuttosto, mi sembra si cerchi di costruire un linguaggio, una grammatica che viva nella materia performativa e nella creazione dell’immagine, fuoriuscendo da qualsiasi discorso metalinguistico. Al contempo oggi precarietà, simultaneità, integrazione mettono in crisi concetti e terminologie. Drammaturgia, coreografia sembrano parole incapaci di delineare un unico e valido concetto…

text Seigradi - foto Santasangre

Si, credo sia esattamente così. Il lavoro di destrutturazione dei linguaggi è stato già portato a termine nel passato, qualcuno l’ha fatto per noi. Sarebbe stupido ripetersi. Però questo stesso lavoro oggi ci permette di ripartire da zero nella costruzione di una visione. Possiamo essere consapevoli di queste eredità per essere nel presente e farlo vivere.

Tecnologia: incanto o disincanto?

Siamo abituati ad utilizzare le tecnologie quotidianamente. Ci siamo cresciuti! Esigiamo un’evoluzione continua perché siamo stati abituati così. Ci appartiene avere a che fare con delle sofisticazioni tecnologiche, non possiamo pensarci né pensare in altre modo. L’utilizzo che facciamo di tali strumenti è disincantato e naturale; semplicemente ci appartiene. È per questo che le tecnologie nei nostri spettacoli non vogliono essere segni contrapposti ad altri segni. Ne fanno semplicemente parte in maniera del tutto naturale.